La vita

La famiglia e gli anni giovanili

Ernesto Teodoro Moneta nasce a Milano il 20 settembre 1833 dal nobile Carlo Aurelio e da Giuseppina Muzio, il suo battesimo si celebra nella chiesa di S.Ambrogio con i nomi di Gaetano, Giovacchino, Luigi, Teodoro.

Nella seconda metà del XVIII secolo la famiglia Moneta, pur discendendo dalla più antica nobiltà milanese, si dedica al commercio e all'industria.

Il nonno di Ernesto Teodoro fonda la prima fabbrica di detersivi lungo il Naviglio e partecipa insieme a buona parte della nobiltà milanese e lombarda, a quel nuovo corso sociale che rende più intraprendente e dinamica la classe aristocratica. La prematura morte del fondatore costringe il figlio Carlo Moneta, padre di Ernesto, a lasciare gli studi di ingegneria all'Università di Pavia e a intraprendere un'esperienza nuova e stimolante che lo pone a contatto con la gente più umile, di cui comprende le fatiche e le aspirazioni. L'indole di Carlo Moneta si distingue per la sua mitezza e semplicità, ma anche per la sua vocazione religiosa e per quell'ardente patriottismo che si riscontra nell'animo dei figli, educati cristianamente alla preghiera e al rispetto per gli altri. In politica è un ardente patriota repubblicano, educa i propri figli all'amor di patria senza per questo incitarli all'odio e alla violenza. Nella sua fanciullezza vede, a causa della rivoluzione francese e napoleonica, cadere molti troni d'Europa e vuole educare i figli agli stessi sentimenti da lui nutriti; detta a loro le liriche di Berchet e di Gabriele Rossetti raccomandandoli di bruciare il manoscritto per non avere problemi con il governo austriaco.

La famiglia Moneta conduce una vita semplice e patriarcale nella vasta casa dove vede la luce Ernesto Teodoro, terzogenito di una lunga famiglia di ben tredici figli.

Gli anni che trascorrono sono anni difficili poiché la dominazione austriaca pesa sulla Lombardia e, soprattutto, sull'animo dei milanesi.

Ernesto Teodoro ancora piccolo assiste al preludio degli eventi del 1848 e del Risorgimento nazionale e insieme ai suoi fratelli vive la propria fanciullezza e giovinezza in quel clima caldo di trepidazioni e di entusiasmo per le lotte d'indipendenza che segnano profondamente il suo animo verso le virtù civili.

Nel 1838 l'Imperatore Ferdinando d'Austria fa la sua entrata trionfale in Milano per esservi incoronato re del Lombardo-Veneto.

Nove anni dopo, l'8 settembre 1847, si festeggia l'entrata in città dell'Arcivescovo Romilli; l'accoglienza dei milanesi è calorosa nei confronti del nuovo arcivescovo che essendo un italiano e voluto da Pio IX predispone benevolmente l'atteggiamento dei milanesi. La manifestazione di giubilo si trasforma ben presto in una chiara dimostrazione politica al grido di "Viva Pio IX" e "Viva l'Italia" che sfocia in un violento massacro e con un pesante bilancio di morti sia nelle file dei dimostranti che in quella dei poliziotti.

Nel 1847 nel villaggio di Bosisio, durante l'inaugurazione di un piccolo monumento a Giuseppe Parini, Ernesto assiste nuovamente ad una clamorosa manifestazione patriottica in cui non manca una salda aspirazione di indipendenza di tutta l'Italia.

Nel pomeriggio del 18 marzo 1848, Teodoro già quattordicenne, con i fratelli e le sorelle aiuta i genitori a predisporre mucchi di mattoni e sassi vicino alle finestre, per poterli utilizzare come armi contro i soldati austriaci. Nel frattempo il padre e il fratello maggiore partecipano alla presa del Palazzo del Governo e al tentativo di impedire alle truppe austriache di occupare il palazzo dei Consoli. Nei giorni seguenti, la casa della famiglia Moneta diventa teatro di continue lotte dove il coraggio si unisce all'ingenuità dei mezzi; durante la quarta giornata vengono feriti un poliziotto graduato e due soldati austriaci che creduti morti vengono trasportati in una piazza vicina. Teodoro li vede coperti da una stuoia e si accorge che uno di loro, due ore dopo, manda ancora i rantoli della morte.

Quella lotta alla quale Moneta partecipa e che sino a quel momento esalta come qualcosa di sacro, improvvisamente gli appare come un fatto crudele ed inumano. La visione di quella sofferenza fa nascere in lui la consapevolezza che lo spirito di sopraffazione e l'uso della violenza non sono le uniche armi per risolvere i problemi tra i popoli.


La partecipazione alle guerre di indipendenza

Ernesto è molto influenzato dall'ambiente patriottico in cui vive, tanto che nel 1849 fugge con due compagni per arruolarsi volontario. La sua unica preoccupazione è salvare la patria, ma il Comitato Lombardo di Emigrazione rifiuta la domanda per la sua giovane età e lo invia alla scuola militare di Ivrea per fargli continuare gli studi.

La sconfitta di Custoza, l'armistizio di Salasco e infine la sconfitta di Novara deludono le speranze di Moneta, che decide di ritornare a Milano. Al suo ritorno riceve la brutta notizia della perdita del padre avvenuta per i tristi eventi politici.

Nel decennio che va dal 1849 al 1859 il Lombardo-Veneto ricade sotto la dominazione austriaca e Moneta si occupa attivamente del movimento antiaustriaco, prima con una sua "Società segreta di giovani d'azione" poi con gli "Unitari" della "Società Nazionale Italiana" di Daniele Manin, una organizzazione politica che promuove l'unificazione italiana intorno a casa Savoia. La politica di Moneta non è di ispirazione monarchica, ma la concretezza del programma, la speranza di poterlo attuare e la stima nutrita nei confronti di Manin e Giorgio Pallavicino lo convincono ad aderire all'iniziativa. Nel mese di febbraio Pallavicino convince Moneta a collaborare all«Unità Nazionale» e a «Il Piccolo Corriere d'Italia» e quando Pallavicino diventa cieco, l'intera responsabilità del giornale ricade su di lui.

Nel 1859, vengono diffuse le prime indiscrezioni sul trattato di alleanza Franco-Piemontese e sull'esistenza di clausole segrete che vietano la formazione di corpi volontari. Il giovane patriota palesa la sua ferma convinzione di non escludere dalla guerra di liberazione gli uomini d'azione della Lombardia, ed egli stesso sente la responsabilità di offrire il suo contributo alla causa nazionale. Garibaldi, infatti, gli offre l'incarico di raccogliere adesioni in quella Brianza che Moneta ben conosce allo scopo di rinfoltire le schiere dei Cacciatori delle Alpi. Insieme ai fratelli si arruola nella compagnia e raggiunge subito il grado di sottotenente, ma non riesce a distinguersi poiché il suo reggimento non partecipa ad alcuna azione militare.

Il 1859 è l'anno in cui il nemico subisce diverse sconfitte e l'8 giugno la popolazione accoglie in delirio l'entrata trionfante di Napoleone III e di Vittorio Emanuele II. L'anno successivo Moneta è ancora nell'esercito garibaldino, prima in Calabria e poi a Gaeta, dove diviene aiutante di campo del generale Sirtori e con lui partecipa alle successive campagne nell'esercito regolare. Nel ruolo di ufficiale si contraddistingue per la sua audacia e intraprendenza, recapita ordini di grande importanza e i dispacci da lui consegnati consentono di far prigioniera una colonna nemica nei pressi di Caserta. Prende parte ad una carica di cavalleria contro la fanteria borbonica e ad una campagna contro il brigantaggio.

Nel '66 Moneta ha 33 anni gode di una posizione privilegiata allo Stato di Maggiore di Sirtori e il suo grande sogno si sta per realizzare, finalmente l'Italia può rivendicare la sua indipendenza ed essere una nazione indipendente in mezzo alle altre nazioni. Il sogno ben presto svanisce, Ernesto scopre che nelle alte gerarchie ci sono rivalità, gelosie e tanta impreparazione militare che ostacolano la risolutezza negli ordini e nelle decisioni. La battaglia di Custoza segna la crisi della sua coscienza e la svolta della sua vita:«La vista dei morti e dei feriti e l'infelice esito di quella battaglia non fanno altro che confermare la delusione nei confronti della preparazione militare».


Dalla direzione de «Il Secolo» all'impegno per la propaganda pacifista

Moneta chiude a 33 anni la carriera militare per intraprendere la via del giornalismo attivo.

Nel '66 entra come critico teatrale a far parte de «Il Secolo», quotidiano di ispirazione democratica, fondato dall'editore milanese Edoardo Sonzogno. In poco tempo il quotidiano diventa l'organo più popolare della stampa milanese, «primo giornale italiano su basi industriali», raggiungendo la tiratura di 30.000 copie giornaliere. Un anno dopo la fondazione del giornale, su richiesta dello stesso Sonzogno, Moneta ne diventa direttore e mantiene questo incarico per ben 29 anni.

Sotto la sua direzione, il foglio raggiunge una larghissima popolarità anche perché non si limita ad essere soltanto un giornale politico, ma una pubblicazione rivolta a tutti. I lettori lo trovano vario e stimolante per la presenza di romanzi d'appendice firmati da scrittori come V. Hugo, G. Sand, G. Verne, A. Dumas, per le rubriche divertenti,i servizi di informazione interna ed esterna e perfino per le lotterie, strenne e premi riservati agli abbonati.

L'attività giornalistica diventa per Moneta una missione fortemente educativa che lo investe e a cui dedica tutto se stesso. L'impronta del giornale rispecchia il pensiero anticlericale e di stampo illuministico, del suo direttore e non solo, le pagine del suo giornale trattano di politica interna inserita nell'ampio quadro delle vicende europee e mondiali, di arbitrato e del rispetto per la libertà e la fratellanza dei popoli.

Oltre che per le polemiche a favore di una modifica dell'ordinamento militare, il giornale si qualifica per le battaglie sociali:«istruzione obbligatoria e gratuita, biblioteche popolari, cucine economiche, spacci comunali, asili notturni, assistenza sanitaria, questioni salariali».

Per tutto questo si guarda al giornale come ad una bandiera che nei momenti politicamente più difficili, raccoglie intorno a sé i più autorevoli politici di sinistra e patrioti come Menotti, Garibaldi, Stefano Canzio, Giuseppe Missori e Carlo Antognini e molti altri che partecipano attivamente alla vita politica milanese.

L'insistenza dei temi come il disarmo, l'arbitrato e l'abolizione del ricorso alla guerra testimoniano come in questi anni Moneta maturi il suo passaggio dal militarismo al pacifismo.

In realtà, nonostante Moneta cerchi di essere fedele ai suoi principi di indipendenza da qualsiasi movimento o formazione politica, per garantire la massima obiettività del suo giornale, egli si avvicina gradualmente alla campagna pacifista che, per opera di Hodgson Pratt, dal 1870 riprende vigore in Europa.

In questi anni l'Europa conta numerose Società per la Pace ad opera di Federico Passy e di Hodgson Pratt ed Ernesto Teodoro intuisce la necessità di costituirne una in Italia per una migliore divulgazione degli ideali pacifisti.

Così nel 1878, in occasione di un nuovo pericolo di guerra a causa dell'insurrezione della Bosnia-Erzegovina, Moneta fonda insieme all'amico Carlo Romussi e alla nobildonna Cristina Lazzati e con alcuni elementi del Consolato Operaio una "Lega di Libertà, Fratellanza e Pace", ma l'associazione trova l'indifferenza degli stessi componenti che, impegnati nella politica, non trovano tempo per dedicarsi alla propaganda con la stessa intensità di Ernesto.

La delusione di Moneta è tanta anche per l'indifferenza dell'opinione pubblica che rivela uno scarso coinvolgimento per quell'iniziativa che rappresenta il primo seme di una futura organizzazione.

Alcuni anni dopo, nel 1887, grazie alle sollecitazioni di Hodgson Pratt, si costituisce a Milano l'"Unione Lombarda per la Pace e l'Arbitrato", alla cui fondazione Moneta collabora, seppure non in forma ufficiale, offrendo il suo maggiore contributo. In poco tempo Moneta diventa il principale sostenitore dell'Associazione tanto da donarle la gratifica che Edoardo Sonzogno gli assegna in occasione del suo ventennio alla direzione de «Il Secolo».

Da questo momento l'attività di giornalista cede il passo gradualmente a quella di diffusore delle idee pacifiste e di giustizia internazionale.

Del resto, quello che Moneta ricorda volentieri della sua vita giornalistica sono le campagne intese a scongiurare la guerra contro la Francia, dopo l'occupazione di Tunisi nel 1881, e contro la spedizione di Eritrea nell'85-86; ma è proprio l'incalzare della politica colonialistica italiana di quei tempi e più tardi quella francofoba di Crispi che dà un maggiore impulso alla propaganda pacifista.

Riprese qualche anno più avanti le polemiche a causa dell'occupazione di Tunisi, Moneta, con l'aiuto delle Società italiane per la Pace sorte tra l'88 e il 90, inonda il paese di opuscoli, articoli e congressi per divulgare le sue idee e per smascherare le cattive intenzioni dei seminatori di discordia. La sua propaganda pacifista si rivolge alla coscienza degli italiani; ecco perché agli inizi dell'88, Moneta, tramite una lettera aperta pubblicata su «Il Secolo» e indirizzata all'«Unione Lombarda», denuncia l'indifferenza dei cittadini nei confronti della Pace, unico valore in grado di poter curare i maggiori interessi delle famiglie e di poter conciliare l'idea della patria con quella dell'umanità.

Con la stessa lettera, Moneta indice un concorso con il premio di mille lire per il migliore studio sul tema:«Indicare le principali cause che ritardano il raggiungimento di una pace sicura e durevole in Europa, e i mezzi meglio adatti per poterla raggiungere». Ben presto il concorso assume un carattere internazionale, al quale partecipano non solo studiosi di scienze storiche, sociali e politiche ma parecchie persone animate da un sincero entusiasmo per la causa della Pace. La commissione ritiene di dover classificare i lavori in tre categorie, assegnando L. 1000 di premio ai tre lavori più esaurienti e segnalandone altri sei come meritevoli di attenzione.

Durante l'anno vengono tenute a Milano, Novara, Asti, Bassano, Pavia ben 19 conferenze, di cui sette dallo stesso Moneta.


Il primo congresso nazionale della pace: Roma 1889

Alla fine del 1888, i rappresentanti di cinque società pacifiste decidono la convocazione di un Congresso Mondiale per la Pace, in occasione dell'Esposizione Mondiale di Parigi.

Allo scopo di stimolare la partecipazione italiana, il Comitato Direttivo dell'Associazione Romana per la Pace e l'Arbitrato Internazionale decide di convocare il Congresso Mondiale della Pace a Roma dal 12 al 16 maggio.

Al Congresso romano partecipano ben 37 istituzioni e 90 congressisti che sono la dimostrazione più lampante del fiorire in Italia di un movimento pacifista estremamente vivo. L'inaugurazione avviene nella gran sala dell'Associazione della Stampa, sotto la presidenza di Ruggero Bonghi e con l'assistenza di una buona rappresentanza del governo nella persona del ministro Seismit-Doda.

Moneta ha l'onore di essere il primo relatore, con un discorso sul tema " Del disarmo e dei modi pratici per conseguirlo per opera dei governi e dei parlamenti". Dopo aver sottoposto a dura critica lo spirito del militarismo, individua nel disarmo l'unico rimedio possibile. Tuttavia rivela che il disarmo deve essere quello dei forti e non degli impotenti, poichè il paese deve evitare di essere indifeso di fronte a qualsiasi invasione.

Al termine della sua relazione, propone l'approvazione di un ordine del giorno con le seguenti conclusioni: attuazione di petizioni al parlamento che sanciscono l'adesione dell'Italia al disarmo, istituzione militare obbligatoria nelle scuole primarie e secondarie, costituzione di un partito distinto degli amici della pace delle due Camere e infine l'argomento del disarmo al centro delle piattaforme elettorali per le future elezioni.

Tali proposte suscitano una vivace opposizione e il Congresso decide nel suo documento finale, che il benessere dei governi e dei popoli si può garantire solo attraverso una riduzione e riorganizzazione degli armamenti utili solo in caso di guerra difensiva, in cui tutti i cittadini si adoperano nella difesa della patria.

La partecipazione di Moneta al I Congresso Mondiale e la sua relazione per la pace rappresenta l'inizio di una lunga serie di congressi a cui Moneta offre il suo maggiore contributo tanto da condizionare le scelte future all'interno della composizione pacifista.

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