II - L'unità d'Italia
Restaurazione dei sovrani legittimi e ascesa del Regno Sabaudo
La "seconda restaurazione" in Italia, nonchè il ritorno dei sovrani legittimi dopo il fallimento delle rivoluzioni del '48-49, arresta il movimento riformatore e anche lo sviluppo economico dei vari Stati, favorendo così l'egemonia austriaca nella penisola.
Nello Stato pontificio si riafferma il vecchio modello teocratico-assolutistico e il potere resta nelle mani di una ristretta oligarchia di prelati.
Anche nel regno delle due Sicilie, la politica dei governi
è caratterizzata da un gretto conservatorismo. Infatti in
campo economico il mantenimento dei dazi doganali pregiudica lo
svilupparsi dell'agricoltura fuori dai propri confini.
L'arretratezza economica e sociale del Regno delle due Sicilie,
oltre a rappresentare un modello negativo agli occhi dell'opinione
pubblica, diviene uno dei principali fattori dell'isolamento e del
rapido crollo dello Stato borbonico.
In Piemonte la situazione appare molto diversa: viene conservato
il regime costituzionale, approvata la pace di Milano e accettato
il pagamento delle indennità di guerra imposte dagli
austriaci.
Alla guida del governo si trova Massimo D'Azeglio, che intraprende
un'opera di modernizzazione dello Stato, grazie anche al disegno di
legge presentato da Siccardi, ministro della Giustizia. Nello
specifico, le leggi Siccardi intendono riordinare i rapporti fra
Stato e Chiesa, ponendo fine ai privilegi del clero e adeguando la
legislazione ecclesiastica del Piemonte a quella degli altri Stati
cattolici europei.
Nell'ottobre 1850 si affaccia sulla scena politica piemontese,
come ministro dell'Agricoltura e del Commercio, il conte Camillo
Benso di Cavour.
Cavour si rende protagonista di una rivoluzione parlamentare che
sposta l'asse del governo verso sinistra, grazie ad un accordo con
Urbano Rattazzi. In virtù di tale connubio, il leader
piemontese riesce ad allargare la base parlamentare del suo
governo, sposando quei temi propri dell'ala moderata della sinistra
democratica.
Tali cambiamenti danno vita ad una nuova interpretazione
parlamentare dello Statuto che stabilisce la dipendenza del
governo, non soltanto dalla fiducia del sovrano, ma anche dal
sostegno della maggioranza del Parlamento.
La trasformazione investe anche l'assetto economico del paese ed in particolar modo il settore delle opere pubbliche. Vengono stipulati trattati commerciali con Francia, Belgio, Austria e Germania, e lo Stato si impegna nel sostegno dell'industria e nella riorganizzazione delle attività creditizie.
Grazie a questo processo di modernizzazione, il Regno Sabaudo si pone all'avanguardia rispetto gli altri Stati italiani, diventando anche il punto di riferimento di molti esuli liberali provenienti da tutta Italia, che contribuiscono in questo modo allo sviluppo culturale ed economico del paese.
La soluzione repubblicana e la sua sconfitta
Le sconfitte del '48 e del '49 non modificano le strategie di
Mazzini e dei mazziniani, convinti che l'unità d'Italia
possa essere conseguita solo attraverso la strategia dei moti
insurrezionali.
Anche dopo il fallimento dell'insurrezione di Milano, in cui poche
centinaia di operai e di artigiani prendono d'assalto i posti di
guardia austriaci, Mazzini fonda a Ginevra una nuova formazione
politica col nome di "Partito d'azione", che intende sottolineare
l'importanza delle strategie insurrezionali.
Nel frattempo, Mazzini stringe rapporti anche con artigiani e
operai delle città del Nord, senza concedersi del tutto alle
ideologie socialiste.
I tragici insuccessi della politica mazziniana favoriscono l'insorgere di forti critiche da parte dei socialisti, che considerano l'impostazione di Mazzini poco aperta ai problemi sociali e alle esigenze delle classi subalterne.
Con l'affacciarsi del socialismo all'interno del dibattito del
movimento risorgimentale si affermano le ideologie politiche di
Ferrari e Pisacane.
Ed è proprio grazie alla collaborazione tra Pisacane e
Mazzini che si compie la spedizione di Sapri.
Nel giugno del 1857, Pisacane si imbarca da Genova, facendo rotta
verso l'isola di Ponza, sede di un penitenziario borbonico.
Liberati i detenuti dal carcere, la spedizione si dirige verso le
coste meridionali della Campania e sbarca a Sapri. La marcia dei
rivoltosi si dirige verso l'interno, ma non avendo il supporto
delle popolazioni locali viene individuata e repressa dalle truppe
borboniche.
Il fallimento della spedizione di Sapri provoca la nascita di un movimento filo-piemontese con a capo Daniele Manin, che aspira alla formazione di una monarchia costituzionale retta da Vittorio Emanuele II. Alla proposta di Manin aderiscono molti esponenti democratici, tra cui anche Giuseppe Garibaldi, rientrato in Italia dopo una lunga permanenza in America. Nel luglio del 1857, si conferisce al movimento una struttura organizzativa, che prende il nome di Società Nazionale.
Strategie diplomatiche di Cavour e seconda guerra di indipendenza
Nei primi anni di presidenza del consiglio, Cavour non persegue
il raggiungimento dell'unità d'Italia, ma orienta la sua
politica nell'ampliamento dei confini della monarchia sabauda a
scapito dei domini austriaci e degli Stati minori del Centro
Nord.
In politica estera, infatti, egli si preoccupa di avvicinare il
Piemonte ai paesi europei più moderni e tale occasione
giunge, nel 1855, quando la Francia e l'Inghilterra lo invitano a
partecipare alla guerra contro la Russia.
Il governo sabaudo decide di inviare un corpo di spedizione,
comandato dal generale Lamarmora, in Crimea, e più
precisamente nella città fortificata di Sebastopoli.
Terminata la guerra, Cavour partecipa, come rappresentante di uno
Stato vincitore, alla Conferenza di Parigi (marzo 1856) per
stabilire le condizioni di pace.
L'influenza del Piemonte sulle decisioni di pace è davvero
molto trascurabile, ma Cavour, sostenuto dalla Francia e
dall'Inghilterra, coglie l'occasione per denunciare le condizioni
intollerabili in cui si trova l'Italia, oppressa ancora dalla
dominazione straniera.
Cavour si convince che solo una modifica dell'equilibrio europeo
può eliminare la dominazione austriaca in Italia e per
raggiungere il suo scopo si assicura l'appoggio di Napoleone III,
il quale è desideroso di riprendere la politica italiana del
primo Napoleone.
L'alleanza franco-piemontese viene stipulata nella cittadina di
Plombières tra il primo ministro e Napoleone III.
Alla base del trattato franco-piemontese vi è l'impegno, da
parte della Francia, di combattere a fianco del Piemonte contro
l'Austria, al fine di liberare i territori del Lombardo-Veneto e
del Piemonte stesso. In cambio del suo appoggio, la Francia
rivendica l'acquisizione della Savoia francese e della città
di Nizza a guerra terminata.
In verità Cavour, non accenna all'ipotesi di una
possibile unificazione dell'Italia sotto casa Savoia, ma si limita
a chiedere che accanto al Regno d'Italia settentrionale, si formino
un Regno d'Italia centrale e un Regno d'Italia meridionale.
D'altra parte Napoleone fa intendere che alla testa dell'Italia
centrale e meridionale bisogna porre i suoi cugini Gerolamo
Bonaparte e Luciano Murat.
Firmati i patti di Plombières, ambedue i contraenti
mettono in atto delle provocazioni antiaustriache. Il governo
piemontese applica ogni stratagemma per far salire la tensione con
lo Stato vicino: finalmente, il 23 aprile 1859, l'Austria invia un
ultimatum al Piemonte, imponendogli lo scioglimento dei corpi
volontari e la smobilitazione dell'esercito.
Vittorio Emanuele respinge l'ultimatum e l'Austria dichiara guerra.
Mentre l'esercito sabaudo resiste al tentativo austriaco di
penetrare in profondità nel territorio piemontese, Napoleone
III giunge in soccorso del regno sabaudo ed uniti portano
l'offensiva in Lombardia, battendo il nemico prima a Magenta (4
giugno 1859) e poi nelle battaglie di Solferino e San Martino (24
giugno).
Nel frattempo, le insurrezioni della Toscana e dell'Emilia, due
regioni determinate a volersi unire al Piemonte, sconvolgono i
piani di Napoleone che preferisce interrompere le operazioni
militari e firmare, l'11 agosto 1859, l'armistizio di Villafranca
con l'Austria.
Con l'armistizio, l'Impero asburgico mantiene il Veneto e le
fortezze di Mantova, rinunciando alla Lombardia che viene ceduta
alla Francia, la quale poi la consegnerà al Piemonte.
Cavour sdegnato dalla stipulazione improvvisa dell'armistizio si dimette e viene sostituito per pochi mesi dal generale Lamarmora. Al suo rientro indice dei plebisciti a suffragio universale maschile, che approvano l'annessione della Toscana e dell'Emilia al Piemonte.
La spedizione dei Mille e la proclamazione del Regno d'Italia
Con la cessione della Savoia e l'allargamento dei suoi confini verso la Lombardia e l'Italia centrale, lo Stato sabaudo cessa di essere uno Stato dinastico e si avvia a diventare uno Stato nazionale.
Non contenti della situazione venutasi a creare i democratici,
capitanati da Francesco Crispi e Rosolino Pilo, cercano di
organizzare una nuova spedizione nel Mezzogiorno.
Crispi e Pilo cercano innanzitutto di preparare e sostenere lo
sbarco della spedizione, attraverso l'organizzazione di una rivolta
locale.
Ai primi di aprile scoppia un'insurrezione a Palermo e, mentre
Pilo si reca nella città siciliana per guidare l'impresa,
Crispi convince Garibaldi ad assumere la direzione della
spedizione.
Nel maggio 1860, Garibaldi sbarca con mille volontari a Marsala,
dove viene accolto con entusiasmo dalle popolazioni locali.
Le colonne garibaldine sconfiggono le truppe borboniche e
proseguono nella liberazione di Palermo, di cui Garibaldi assume la
dittatura per conto di Vittorio Emanuele e costituisce un governo
provvisorio, proclamando la fine della monarchia borbonica.
Con la vittoria di Garibaldi nella battaglia di Milazzo (20 luglio
1860), Cavour rivede la sua strategia, agevolando da un lato
l'afflusso di armi e volontari e dall'altro il blocco di ulteriori
sviluppi attraverso la nascita di un movimento di opinione pubblica
favorevole all'annessione al Piemonte.
Intanto in Sicilia, le aspirazioni dei contadini, desiderosi di
una trasformazione dei rapporti di proprietà, provoca un
clima di diffidenza nei confronti dei liberatori, i quali pur
andando incontro alle loro esigenze, subordinano le iniziative
riformatrici all'esigenza primaria: la completa sconfitta
dell'esercito borbonico. Tale contrasto diventa sempre più
insanabile e sfocia in episodi di dura lotta: tra questi il
più noto si verifica ai piedi dell'Etna, dove alcuni ribelli
vengono fucilati per ordine di Nino Bixio, braccio destro di
Garibaldi.
Nel frattempo i proprietari terrieri spaventati dalle agitazioni
agrarie guardano con favore all'annessione al Piemonte.
Dopo lo sbarco di Garibaldi in Calabria e il suo ingresso in Napoli, diventa urgente per il governo piemontese un'iniziativa al Sud, tale da evitare complicazioni internazionali, soprattutto con la Francia.
I garibaldini, manifestando il proposito di continuare la guerra
sino alla liberazione di Roma, possono provocare, secondo Cavour,
una reazione di Napoleone III, che certamente metterebbe in
discussione l'assetto monarchico e moderato del Regno sabaudo.
Cavour, cercando di riprendere il controllo della situazione,
rilancia la guerra regia per mezzo di un esercito regolare, con
l'intenzione di procedere all'annessione delle terre liberate.
Ottenuto il consenso di Napoleone III, Cavour decide di inviare
l'esercito piemontese per poter fermare l'avanzata di Garibaldi
verso Roma.
Le truppe regie varcano i confini dello Stato della Chiesa,
invadendo l'Umbria e le Marche e sconfiggendo l'esercito pontificio
nella battaglia di Castelfidardo.
Nel frattempo Garibaldi sconfigge l'esercito borbonico nella
battaglia del Volturno e l'esercito piemontese procede la sua
marcia verso il Mezzogiorno.
Il 26 ottobre 1860, Garibaldi incontra il re nei pressi di Teano e
gli consegna le terre da poco liberate, salutandolo come re
d'Italia.
Pochi giorni prima, a seguito di plebisciti, si univano al
Piemonte, oltre alla Sicilia e al Napoletano, anche l'Umbria e le
Marche.
Il 17 marzo del 1861, il primo parlamento nazionale, riunito in
Torino, ratifica le avvenute annessioni e proclama il Regno
d'Italia sotto la corona di Vittorio Emanuele.