IX - La prima guerra mondiale

Nuove cospirazioni politiche: dall'attentato di Sarajevo alla dichiarazione di guerra

Il 28 giugno 1914, durante una visita a Sarajevo, l'arciduca Francesco Ferdinando e la sua consorte vengono assassinati da due nazionalisti serbi.
L'attentato ha matrici politiche che possono essere ricondotte principalmente all'adesione dell'arciduca Francesco Ferdinando alla concezione cosiddetta del "trialismo".
L'obiettivo del trialismo consiste nell'estendere il regime di parità, oltre che agli ungheresi, anche agli slavi inclusi nell'Impero austriaco, ma purtroppo tale aspirazione trova l'opposizione dei Serbi che a loro volta mirano ad esercitare il loro dominio su tutta la penisola balcanica.

Il duplice assassinio viene accolto con entusiasmo dalla comunità serba e dal governo di Belgrado che, pur avendo rifiutato ogni possibile coinvolgimento nell'attentato, ha omesso qualsiasi tipo di iniziativa volta a prevenirlo.
Da parte sua l'Austria teme che i Serbi possano esercitare un certo ascendente sugli altri nazionalisti Slavi. Il 23 luglio l'Austria invia alla Serbia un ultimatum, imponendole di pubblicare una dichiarazione che testimoni la condanna del governo serbo nei confronti della propaganda contro l'Austria-Ungheria, e soprattutto che affermi la contrarietà alla possibile sottrazione dei territori soggetti alla corona asburgica.

La Serbia accetta solo in parte l'ultimatum imposto dall'Austria, rifiutando la clausola che prevede la collaborazione di agenti austro-ungarici alle indagini sui mandanti dell'attentato.
Giudicando insufficiente la risposta della Serbia, l'Austria le dichiara guerra il 28 luglio, scatenando la mobilitazione generale della Russia e provocando anche quella contemporanea della Francia, sua alleata in base agli accordi della Duplice alleanza.

Il 31 luglio la Germania a sua volta dichiara guerra prima alla Russia e dopo alla Francia (2 agosto).
Secondo un piano elaborato dal generale Alfred von Schliefen, la Germania intende annientare per prima cosa la Francia, per poi invadere il Belgio, oltraggiando la sua neutralità, e attaccare di sorpresa dal confine franco-germanico il Nord.
Attuando simile tattica lo Stato maggiore tedesco è convinto di avvalersi di vantaggi militari, anche se la sua condotta viene criticata moralmente sia dall'opinione pubblica europea e sia da quella americana.

Infatti, il 4 agosto, subito dopo l'invasione del Belgio, l'Inghilterra si schiera a fianco della Francia. Intanto l'avanzata tedesca procede velocemente, privando la Francia delle regioni nord orientali, ricche di carbone e di quasi tutti i minerali ferrosi. Anche Parigi è in pericolo, tanto che il governo si trasferisce a Bordeaux nel momento in cui l'esercito francese si apposta sulla Marna. La lotta è abbastanza intensa e, dal 6 al 12 settembre, i francesi contrattaccano dalla Marna i tedeschi, che loro malgrado sono costretti a retrocedere sull'Aisne.
Nel frattempo la Germania deve rispondere anche sul fronte orientale, dove due corpi d'armata devono contrattaccare le truppe russe. I generali Paul von Hindenburg ed Eric von Ludendorff riescono a respingere l'offensiva russa nelle battaglie di Tamunberg e dei Laghi Masuri. Ma la sconfitta non frena l'avanzata russa che riesce a dirigersi verso la Galizia, minacciando da vicino il territorio ungherese dell'Impero asburgico.

Sul fronte occidentale, dopo la battaglia della Marna, si svolge una corsa navale per la conquista del controllo delle coste della Manica, dove gli anglo-francesi riescono a conservare i porti strategici di Calais e di Dunkerque.
E' evidente che il piano di Schlieffen si può considerare fallito, tanto che egli stesso cede il comando supremo al generale Erich von Falkenhayn, che deve scontrarsi con la continua evoluzione strategica della guerra.
Il 23 agosto si schiera a favore degli Alleati anche il Giappone che, conducendo una guerra parallela, si limita ad aggredire le isole e le basi tedesche nel pacifico e in Cina. Contemporaneamente a favore degli Imperi centrali si schiera, il 31 ottobre, la Turchia, che con il suo intervento intralcia le comunicazioni tra le potenze occidentali e la Russia.

Sei mesi dopo, nel maggio del 1915, l'Italia entra in guerra contro l'Austria-Ungheria, mentre a favore degli imperi centrali si schiera la Bulgaria.
Il Portogallo nel marzo 1916, la Romania nell'agosto 1916 e la Grecia nel giugno 1917 si schierano a favore dell'Intesa che viene ulteriormente appoggiata, nell'aprile del 1917, dagli Stati Uniti d'America.
Naturalmente gli Stati Uniti d'America trascinano con sé numerosi paesi extraeuropei come la Cina, il Brasile e altre repubbliche latino-americane.
Ormai la guerra pur avendo in Europa il suo teatro principale, si estende fino agli imperi coloniali, coinvolgendo per la prima volta tutti e cinque i continenti.

Ben presto la guerra in Europa muta da guerra di movimento a guerra di posizione, stabilizzandosi il fronte su una linea che si estende in direzione nordovest-sudest, fino al confine svizzero e che si sposterà di soli 15 km fino al marzo 1918. In effetti si presenta un nuovo tipo di guerra per entrambi i contendenti: la cosiddetta guerra di logoramento o di usura, che vede la formazione di due schieramenti immobili che si affrontano in una serie di affondi abbastanza sanguinosi, seguiti da lunghi periodi di stasi. Tale cambiamento di strategia agevola gli Alleati, che dispongono del tempo necessario per la mobilitazione delle loro truppe e delle loro risorse, mentre l'iniziale superiortià militare degli imperi centrali passa sicuramente in secondo piano.


L'Italia e la guerra: neutralità o interventismo?

La scelta dell'Italia di entrare in guerra è abbastanza sofferta e crea delle spaccature all'interno della classe politica e dell'opinione pubblica.
A guerra scoppiata, il governo Salandra decide di dichiarare la neutralità del paese, trovando piena giustificazione nel carattere difensivo della Triplice Alleanza e nella mancata consultazione dell'Austria con l'Italia alla vigilia della dichiarazione di guerra alla Serbia.

Ben presto, l'Italia prende in esame l'ipotesi di schierarsi contro l'Austria, mirando sia alla riconquista di Trento e Trieste, sia all'aiuto delle nazionalità oppresse e della stessa democrazia, minacciata da una possibile vittoria dei due imperi autoritari del Centro Europa.
Ma come sempre l'Italia è divisa tra molteplici pareri e aspettative, e anche in questa occasione si vengono a formare diverse fazioni, promotrici di svariati programmi.

Portavoci di una linea interventista sono i repubblicani, i radicali, i socialriformisti di Bissolati, le associazioni irredentiste e le frange estremiste del movimento operaio. In tutti loro si alimenta la speranza di modificare non soltanto gli assetti internazionali, ma anche gli equilibri sociali dei paesi coinvolti nella guerra.

Forti sostenitori dell'entrata in guerra dell'Italia sono anche i nazionalisti che, convinti che l'Italia debba affermare la sua vocazione di grande potenza imperialista, rappresentano insieme ai sindacalisti rivoluzionari l'ala attiva del fronte interventista.

Molto meno aggressivi sono i gruppi liberal-conservatori che hanno come leader Antonio Salandra e Sidney Sonnino, entrambi consapevoli che la partecipazione dell'Italia alla guerra avrebbe contribuito a rafforzare sia il prestigio delle istituzioni italiane e sia della monarchia.

Di parere diverso è lo schieramento liberale che facendo capo a Giovanni Giolitti si schiera a favore della linea neutralista. Pur non essendo del tutto contrario ad un intervento dell'Italia, rivela le difficoltà economiche e militari legate ad un possibile coinvolgimento nel conflitto. Del resto, a suo parere, proprio la neutralità dell'Italia potrebbe favorire il recupero delle sospirate terre irredente.

Tutt'altro che favorevoli sono Benedetto XV che, salito al soglio pontificio nel momento in cui scoppia la guerra, dichiara il suo contrasto e assume un atteggiamento fortemente pacifista, e Benito Mussolini, che dalle pagine dell'Avanti conduce una campagna a favore della neutralità assoluta. Ma con una rapida conversione Mussolini si schiera a favore della guerra e nel novembre del 1914, fonda un nuovo quotidiano, "il Popolo d'Italia", che diviene la principale palestra dell'interventismo di sinistra.

La diatriba tra neutralisti e interventisti viene risolta in virtù del consenso offerto dal re al presidente del consiglio e al ministro degli Esteri alla stipula di trattative con i paesi dell'Intesa.

Il 26 aprile 1915, l'Italia firma il cosidetto Patto di Londra con Francia, Inghilterra e Russia. L'accordo, stipulato senza la consultazione dei membri del parlamento e del governo, prevede per l'Italia, in caso di vittoria, il Trentino, il sud Tirolo fino al confine naturale del Brennero, la Venezia Giulia e l'intera penisola istriana, una parte della Dalmazia con numerose isole adriatiche.

La firma del trattato di Londra resta sconosciuta alla maggioranza neutralista della Camera e a Giolitti, che per parte sua continua le trattative con l'Austria, cercando di imporre le dimissioni di Salandra, sostenuto però dal re. Contemporaneamente, iniziano delle manifestazioni di piazza che portano alla dichiarazione di guerra da parte italiana nei confronti dell'Austria.
Purtroppo i socialisti rimangono isolati e per manifestare la loro ostilità alla guerra e la loro fedeltà all'internazionalismo proletario, adottano la formula "né aderire né sabotare" che dimostra nello stesso tempo la loro piena dichiarazione di principio e un'implicita confessione di impotenza.

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