VIII - L'Italia e l'età giolittiana
I contrasti politici: conservatori e socialisti
Alla fine del secolo XIX, dopo la caduta del governo Crispi, le forze conservatrici decidono di risolvere le tensioni sociali in senso autoritario. L'orientamento politico del nuovo primo ministro, Sidney Sonnino, prevede da un lato un'interpretazione restrittiva dello Statuto, che rende il governo responsabile di fronte al sovrano e affida alle Camere solamente compiti legislativi e, dall'altro, la repressione di qualsiasi protesta sociale.
Tuttavia nel '98 la tensione sociale diventa incontrollabile a
causa dell'aumento improvviso del prezzo del pane, che provoca lo
scoppio di manifestazioni popolari, prima in Romagna e nelle
Puglie, poi in Toscana, Marche, Campania e nelle città del
Nord. Il governo da parte sua, anzichè preoccuparsi di
eliminare il dazio sul grano, decide di prendere delle misure
repressive dando pieni poteri alla polizia e provocando a Milano
una vera e propria strage con cento morti e più di
cinquecento feriti tra la folla.
I gruppi dei conservatori e dei moderati pretendono di dare una
base legislativa all'azione repressiva dei poteri pubblici,
incontrando l'opposizione dell'area socialista, repubblicana e
radicale del parlamento. In particolare, Luigi Pelloux, volendo far
approvare alcuni provvedimenti riguardanti le limitazioni del
diritto di sciopero, di libertà di stampa e di associazione,
si trova a scontrarsi con l'ostruzionismo parlamentare dei
socialisti, dei repubblicani e dei radicali che, prolungando fino
all'infinito le discussioni, paralizzano così l'azione della
maggioranza.
Incapace di venire fuori da questa situazione, Pelloux decide di
sciogliere la Camera, convinto di ottenere un buon risultato nelle
successive elezioni.
Purtroppo la linea strategica di Pelloux non dà i frutti
sperati: alle elezioni del 1900 la coalizione di governo perde
parecchi consensi, mentre le opposizioni escono vittoriose; i
socialisti, in particolare, conquistano molti seggi in
Parlamento.
Ormai la scena politica si evolve anche grazie alla costante opposizione dei socialisti, Umberto I prende atto del fallimento della politica repressiva e affida la successione del governo al senatore Giuseppe Saracco.
Il governo Zanardelli-Giolitti e la teoria dello stato liberale
Il governo Saracco inaugura una fase distensiva della politica
italiana grazie anche al buon andamento dell'economia e al
ridimensionamento delle tensioni sociali.
Dopo l'uccisione di Umberto I sale sul trono Vittorio Emanuele III,
propenso ad assecondare le forze progressiste.
L'occasione si presenta quando il governo Saracco è
costretto a dimettersi per il mancato controllo di uno sciopero
generale, tenuto a Genova. Il re, facendosi interprete del nuovo
clima politico, chiama alla guida del governo, nel 1901, il leader
di sinstra liberale Zanardelli, il quale affida il ministero degli
Interni a Giovanni Giolitti.
Giolitti con molta chiarezza espone la sua teoria sullo Stato
liberale divenendo il precursore di una nuova stagione, proiettata
verso nuovi rapporti tra Stato e lavoratori, e quindi fra classe
dirigente e movimento operaio.
Nei primi anni di vita il governo Zanardelli-Giolitti vara alcune
norme molto importanti che interessano il mondo del lavoro: viene
limitato il lavoro minorile e femminile nelle industrie, si
perfeziona la legislazione inerente le assicurazioni volontarie per
la vecchiaia e quelle obbligatorie per gli infortuni sul lavoro, si
autorizza la municipalizzazione dei servizi pubblici e si
costituisce un organo consultivo per la legislazione sociale,
chiamato "Consiglio superiore del lavoro".
Giolitti, tenendo fede al suo programma di voler assicurare
maggiore libertà alle organizzazioni operaie, mantiene una
linea governativa prettamente neutrale in materia di conflitti del
lavoro, che favorisce il rapido sviluppo delle organizzazioni
sindacali, operaie e contadine.
Nelle maggiori città del Centro Nord, oltre alla costituzione delle Camere del lavoro, si formano le organizzazioni di categoria e in particolare si sviluppano le organizzazioni dei lavoratori agricoli che, nel 1901, si riuniscono nella "Federazione italiana dei lavoratori della terra" (Federterra). Come fine ultimo la la Federazione si propone di raggiungere la socializzazione della terra, mentre tra i risultati immediati si dispone il conseguimento dell'aumento dei salari, della riduzione degli orari di lavoro e dell'istituzione di uffici di collocamento controllati dai lavoratori stessi.
Direttamente proporzionale allo sviluppo delle organizzazioni sindacali è l'aumento degli scioperi che, interessando indistintamente sia il settore industriale che quello agricolo, porta al rialzo dei salari lungo tutto il primo quindicennio del secolo.
Il decollo industriale: divario tra nord e sud Italia
Alla fine del secolo comincia il decollo industriale italiano,
voluto e preordinato dalla costruzione di una rete ferroviaria,
dall'adozione del sistema protezionistico e dal riordino del
sistema bancario.
I maggiori progressi industriali si registrano nei settori
siderurgico, tessile chimico e meccanico, investendo anche il campo
dell'energia elettrica, che in Italia arriva all'inizio del
'900.
Tra le conseguenze di questo decollo industriale si ha
l'innalzamento del reddito pro-capite: finalmente la popolazione
può investire i propri salari anche nell'acquisto di beni di
consumo durevoli nel tempo.
Le condizioni di vita degli italiani vanno lentamente migliorando
soprattutto nei centri urbani, dove si registra una riduzione delle
malattie infettive e un calo della mortalità, grazie
soprattutto alla diffusione dell'acqua corrente.
Tuttavia i progressi economici e sociali dell'Italia rimangono
trascurabili a confronto con le evoluzioni degli altri paesi
più industrializzati, e si accentua sempre più il
divario tra nord e sud d'Italia.
Infatti, lo sviluppo industriale e il progresso economico
riguardano principalmente l'Italia centro-settentrionale e
specialmente il triangolo industriale che comprende Milano, Torino
e Genova. Il nord può contare su una maggiore prestazione
dei servizi e delle loro qualità e su una discreta
collaborazione tra imprese complementari. Al contrario,
l'imprenditoria del sud deve lottare quotidianamente contro
organizzazioni malavitose, come la mafia e la camorra, che
estorcono somme ingenti di denaro.
Anche i discreti progressi dell'agricoltura italiana, iniziati
negli ultimi anni dell'800, si concentrano in modo particolare al
Nord, e principalmente nelle aziende capitalistiche della valle
Padana che traggono giovamento dall'elevata protezione doganale sui
cereali.
Scarsi sono invece i miglioramenti dell'agricoltura meridionale,
danneggiata dalle cattive condizioni climatiche e idrologiche e
dalla permanenza di rapporti sociali che ostacolano il mutamento.
Purtroppo da questa situazione derivano i mali storici della
società meridionale: l'analfabetismo, la disgregazione
sociale, l'assenza di una classe dirigente moderna e la
subordinazione della piccola e media borghesia agli interessi della
grande proprietà terriera.
In questi anni, comunque, tutte le regioni d'Italia partecipano al fenomeno migratorio, anche se in rapporto alla popolazione il Mezzogiorno offre quantitativamente un contributo maggiore. Mentre al nord i flussi migratori sono diretti principalmente verso l'Europa ed hanno carattere temporaneo, al sud si verificano ondate di emigrazione a carattere definitivo e permanente verso il Nord America.
Il ministero di Giovanni Giolitti (1903 -1911)
Nel 1903, dopo le dimissioni di Zanardelli, Giolitti diventa capo del governo e, tra i suoi propositi, delinea l'intento di portare avanti l'esperimento liberal-progressista del precedente ministero e di allargare le basi dello Stato offrendo a Filippo Turati la possibilità di entrare a far parte della compagine governativa. Ma il rifiuto di tale proposta da parte di Turati condiziona le scelte di Giolitti, che decide di formare un governo spostato al centro e aperto alla partecipazione di elementi conservatori.
Nel 1904, vengono varate delle importanti leggi per il Mezzogiorno che, interessando la Basilicata, Napoli e in un secondo momento anche la Calabria, mirano a incoraggiare la modernizzazione dell'agricoltura e lo sviluppo industriale, tramite l'erogazione di stanziamenti statali e l'applicazione di agevolazioni fiscali e creditizie.
Tra il 1904-1905, Giolitti elabora un altro progetto riguardante
la statizzazione delle ferrovie, gestite sino a quel momento da
compagnie private. Il progetto incontra delle forti opposizioni,
tra cui l'avversione dei socialisti che non accettano il divieto di
sciopero per i ferrovieri una volta che questi diventino dipendenti
pubblici. Di fronte a queste difficoltà, Giolitti si dimette
con un pretesto, lasciando la guida del governo ad Alessandro
Fortis, che vi resta per meno di un anno: giusto il tempo per
portare a buon fine la discussa legge sulla statizzazione delle
ferrovie.
A Fortis succede Sonnino che rappresenta il più autorevole
antagonista di Giolitti in campo liberale, ma che a fronte di uno
scarso seguito parlamentare dura in carica solamente tre mesi. Nel
maggio del 1906 ritorna sulla scena politica Giolitti, che inaugura
il suo nuovo periodo di governo sotto buoni auspici, realizzando un
importante provvedimento sul piano economico: la cosidetta
conversione della rendita. Tale decreto vuole stabilire la
riduzione del tasso di interesse versato dallo Stato ai possessori
di titoli del debito pubblico e quindi ridurre gli oneri gravanti
sul bilancio statale.
L'operazione riscontra un forte successo, ma ben presto questa
condizione favorevole viene interrotta da una profonda crisi
internazionale che coinvolge anche l'Italia e si traduce in forti
difficoltà economiche per le banche e le imprese da loro
accreditate. Superata la crisi economica nel 1908, si avverte
l'inasprimento dei rapporti tra lavoratori e industriali e l'unione
di questi ultimi in associazioni padronali, che danno vita nel
1910, alla "Confederazione italiana dell'industria".
Come in precedenza, nel dicembre del 1909 Giolitti attua una
seconda ritirata strategica, convinto di godere in futuro di un
maggiore consenso parlamentare. Dopo un secondo governo Sonnino e
un altro governo Luttazzi, il premier piemontese riesce a ritornare
al governo con un programma orientato a sinistra.
Giolitti si fa promotore dell'allargamento del suffragio universale
maschile e dell'istituzione di un monopolio statale delle
assicurazioni sulla vita, i cui proventi sono da destinarsi al
fondo per le pensioni di invalidità e vecchiaia per i
lavoratori.
Sebbene Giolitti attui un rinnovamento della politica riformista
nazionale, questo viene ben presto oscurato, sul piano della
politica internazionale, dalla contemporanea decisione di
intraprendere la guerra di conquista della Libia.