L'alternanza al potere di Francesco Crispi e Giovanni Giolitti

Alla morte di Depretis, le redini del governo spettano a Francesco Crispi che, ormai settantenne, assume uno stile governativo autoritario e di chiara impronta bismarckiana.
Crispi accentra molto del potere governativo nella sua persona, decidendo di imprimere al governo una svolta decisiva, che sfocia da un lato in spinte autoritarie e repressive e, dall'altro, in un'audace operazione di rinnovamento e razionalizzazione dell'apparato statale.
Nel 1889, oltre all'abolizione della pena di morte grazie alla stesura del codice Zanardelli, si riconosce anche la legittimità dello sciopero.
Sempre nell'89, viene varata una nuova legge di pubblica sicurezza, che pone gravi limiti alla libertà sindacale, lasciando alla polizia l'autorità di poter intervenire in determinate situazioni, senza l'autorizzazione della magistratura.

In politica estera Crispi rafforza sempre più l'alleanza militare della Triplice, mentre esaspera i rapporti italo-francesi, con l'attuazione di una guerra doganale.
A parere di Crispi, l'adozione di una politica contro la Francia, dovrebbe garantire all'Italia un attento controllo nel Mediterraneo e un maggior impegno nell'Africa Orientale.
Infatti, alla fine dell'87, viene inviato a Massaua un nuovo contingente italiano.
Nel 1890, consolidando sempre la stessa linea politica, si procede contemporaneamnete all'ampliamento e all'organizzazione dei possedimenti italiani, riuniti sotto il nome di "Colonia Eritrea", e alla realizzazione di una nuova espansione coloniale sulle coste della vicina Somalia.

In verità, la politica coloniale di Crispi fa emergere tante perplessità all'interno dell'opinione pubblica e lo stesso Crispi si dimette all'inizio del 1891, lasciando la guida del governo prima ad Antonio Rudinì, esponente dell'ala destra conservatrice, e poi al piemontese Giovanni Giolitti.

Giolitti entrato in Parlamento nel 1882, si distingue ben presto come critico severo della politica economica di Sinistra.
Il programma di Giolitti si caratterizza per la sua astensione dall'adozione di metodi repressivi nei confronti del movimento operaio e delle organizzazioni popolari e, anche, per una politica di equa ripartizione fiscale, che intende risparmiare i ceti disagiati e colpire le categorie più facoltose.

Intanto tra il'92 e il '93 si sviluppa in Sicilia un vasto movimento di protesta sociale che si trasforma in una rete di associazioni popolari, designate col nome di Fasci dei lavoratori.
Tali organizzazioni raccolgono le proteste popolari riguardanti la pressione troppo rigida delle tasse, il malgoverno locale e le richieste di terre da parte dei governi. Lo sviluppo dei Fasci Siciliani preoccupa la classe dirigente e i conservatori di tutta Italia, che pretendono un'azione coercitiva da parte del presidente Giolitti.

Nel frattempo, il disappunto dei conservatori si unisce allo scandalo politico-finanziario della Banca romana, che rappresenta uno dei maggiori istituti di credito italiani.
La banca, investendo cospicue somme nel settore dell'edilizia, diventa protagonista della febbre speculativa di quegli anni e viene poi travolta da una grande crisi economica che colpisce il settore edilizio, coinvolgendo anche molte imprese debitrici.
Lo scandalo della Banca di Roma preannuncia la fine del governo presieduto da Giolitti, il quale è costretto a dimettersi nel dicembre del '93, lasciando il posto nuovamente a Francesco Crispi.

Tornato al potere Crispi si scontra con un grande malcontento sociale ed economico. Il suo ritorno è infatti propiziato dalla necessità, diffusa tra le classi medie, di un "uomo forte", capace di rimettere ordine nella profonda confusione creatasi con la nascita del movimento operaio.

Il nuovo governo, in campo economico, completa la riorganizzazione del sistema bancario istituendo, attraverso una legge, la Banca d'Italia.
In materia di ordine sociale, il governo Crispi adotta delle misure repressive riguardanti le insurrezioni del'94, avvenute in Sicilia e in Lunigiana. La repressione militare è accompagnata anche da operazioni di polizia, che assumono dei tratti cruenti soprattutto nei confronti di circoli e leghe facenti capo al Partito Socialista.
Ormai la politica repressiva del governo diventa sempre più organica, tanto che il Parlamento approva una serie di leggi che limitano la libertà di stampa, di riunione e di associazione. Tale legislazione ha lo scopo di indebolire il Partito Socialista che, nell'ottobre del 1894, viene addirittura dichiarato fuori legge.

Purtroppo la rigida pressione fiscale è inverosimilmente legata ai continui investimenti in spese militari, ritenuti indispensabili per la realizzazione di nuove conquiste coloniali.
Già durante il suo primo governo Crispi cerca di stabilire una forma di protettorato con l'impero etiopico e in seguito, nel 1889, riesce a stipulare, in accordo con il negus Menelik il trattato di Uccialli. La stipulazione del trattato prevede due versioni in due differenti lingue che purtroppo inducono a due differenti interpretazioni: gli italiani interpretano l'accordo come l'avviamento di un loro protettorato sull'Etiopia, invece Menelik lo considera come un semplice patto di amicizia e collaborazione.
A seguito di questo fraintendimento, i rapporti italo-etiopici si deteriorano e nella primavera del 1895 gli italiani riprendono la loro avanzata nell'Eritrea, scatenando la furiosa reazione della popolazione etiopica. La situazione per l'Italia si aggrava quando un distaccamento italiano viene circondato e distrutto sull'Amba Alagi e, maggiormente, quando gli italiani, a seguito di questa sconfitta, decidono di contrattaccare l'esercito etiopico.

Il 1° marzo 1896, nella conca di Adua, l'esercito italiano viene disastrosamente sconfitto, perdendo quasi la meta' dei suoi effettivi.
La disfatta ha delle ripercussioni immediate in patria: sia a Roma che a Milano vengono organizzate violente agitazioni contro Crispi ed il suo operato. Rassegnate le dimissioni sull'onda del malcontento, Crispi lascia il posto ad Antonio Rudinì che, col fine di garantire comunque una presenza italiana in Somalia ed Eritrea, conclude frettolosamente un trattato di pace con l'Etiopia.

La sconfitta di Adua, oltre a determinare l'uscita di scena di Crispi, mette in luce tutti i limiti della politica imperialistica dell'Italia, difficilmente condivisa dalle masse popolari, in un momento di pesante crisi economica.

[<< pagina precedente] [pagina successiva >>]