Triplice alleanza, espansione coloniale e sviluppo industriale
Nello stesso anno della riforma elettorale, 1882, il governo
italiano reagisce in malo modo all'occupazione francese della
Tunisia, che per la sua vicinanza alla Sicilia, rappresenta meta di
richiamo anche per l'Italia.
Spaventata da un probabile isolamento all'interno di un nuovo
sistema di alleanze europee, l'Italia muta la sua politica estera,
alleandosi con l'Austria e la Germania attraverso un patto
difensivo, che di fatto è rivolto a indebolire le mire
espansionistiche della Francia.
Entrando a far parte della Triplice Alleanza l'Italia, in comune
accordo con gli altri due stati firmatari, si garantisce pieno
sostegno, nell'eventualità di un attacco da parte di altre
potenze.
Nonostante l'ingresso nel sistema di sicurezza bismarkiano,
l'Italia non ottiene in cambio alcun vantaggio, anzi deve
rinunciare quasi implicitamente alla rivendicazione storica delle
terre irredente (il Trentino e la Venezia Giulia).
Naturalmente questa scelta politica, oltre a provocare il
disappunto degli irredentisti italiani, che vedono umiliate tutte
le loro rivendicazioni, compromette anche il bilancio economico del
paese, che viene aggravato dalle spese nesessarie per
l'accrescimento dell'esercito e della flotta.
Solamente nel 1887, con il rinnovo della Triplice, l'Italia migliora la sua situazione politica grazie all'introduzione di due nuove clausole all'interno del trattato: la prima stabilisce che eventuali modifiche territoriali nei Balcani si stabiliscono di comune accordo tra Italia e Austria e che un vantaggio dell'una comporti uno stesso compenso per l'altra, la seconda delibera che la Germania si impegni a schierarsi con l'Italia, in caso di una guerra provocata dalla Francia nella zona del Marocco e della Tripolitania.
Intanto, il governo Depretis-Mancini, pressato da ristretti gruppi di interesse e da considerazioni di prestigio, dà avvio a un nuovo corso storico: l'espansione coloniale italiana. L'attenzione è rivolta verso l'Africa orientale, l'inizio di questa nuova impresa avviene nel giugno del 1882, con l'acquisto della Baia Assab, sulla costa meridionale del Mar Rosso.
Nel 1885, viene inviato un corpo di spedizione italiano che si
stanzia tra la Baia di Assab e la città di Massaua, a
confine con l'Impero etiopico.
In un primo tempo gli italiani cercano di stabilire buoni rapporti
con l'Etiopia, ma nel momento in cui gli italiani allargano il loro
controllo fino all'interno, si scontrano con la reazione del
negus Giovanni IV e dei ras locali.
Purtroppo, nel gennaio del 1887, viene annunciata in Italia la
triste notizia dell'eccidio di cinquecento militari italiani,
scoperti e sterminati dall'esercito abissino nei pressi di
Dogali.
L'adozione del protezionismo nell'economia italiana
Nel settore produttivo, la situazione agricola italiana viene
maggiormente aggravata dalla crisi agraria, che condiziona la vita
stessa della popolazione, tanto da provocare un aumento
dell'emigrazione.
Ma la precarietà agricola favorisce indirettamente il
decollo dell'industria italiana, dimostrando così che lo
sviluppo economico del paese non dipende solamente dal settore
agricolo.
Gli esponenti della Sinistra, dopo alcuni tentennamenti, si
convincono di un intervento dello Stato nell'economia.
Nel 1878 vengono approvati una serie di dazi doganali che offrono
una moderna protezione ai prodotti industriali e in particolare
assicurano il settore tessile.
Nel 1884, inoltre, si realizzano, col concorso finanziario delle
maggiori banche nazionali, le accieierie di Terni, un complesso
siderurgico che fornisce allo Stato moltissime forniture per le
ferrovie e per la marina di guerra.
Il passaggio dal liberismo al protezionismo è sempre
più decisivo, tanto che nell'estate del 1887 viene varata
una nuova tariffa generale che mette al riparo dalla concorrenza
straniera alcuni settori industriali considerati strategici: il
siderurgico, il laniero e il cotoniero e lo zuccheriero.
Nella storia dell'800, l'adozione del protezionismo, non solo per
l'Italia, ma per tutta l'Europa, rappresenta una tappa obbligata,
che incrementa determinati settori, ma ne danneggia molti altri,
aggravando lo squilibrio fra Nord e Sud.
Nascita del movimento operaio
Il movimento operaio in Italia, tarda a svilupparsi a causa di
una mancata crescita industriale; l'unica organizzazione operaia
costituitasi agli inizi degli anni settanta è costituita
dalle società di mutuo soccorso. Queste associazioni,
controllate da mazziniani e da esponenti moderati, hanno uno scopo
prettamente educativo nei confronti della popolazione, rifiutano
ogni forma di lotta di classe e considerano funesto il ricorso allo
sciopero.
Tuttavia, nel corso degli anni, queste società perdono
terreno a causa della diffusione dell'internazionalismo socialista
e soprattutto con l'emergere delle teorie anarchiche di
Bakunin.
Il movimento internazionalista nasce in Italia con l'opera di
alcuni agitatori, quali Carlo Cafiero, Andrea Costa ed Errico
Malatesta.
Andrea Costa dopo una serie di fallimenti nell'attuazione di moti
insurrezionali, elabora un programma politico che dà vita a
un vero e proprio partito.
Nell'estate dell'81 nasce il Partito socialista rivoluzionario di
Romagna, che rimane una semplice formazione regionale, priva di
legami con i nuclei di operai sviluppatisi in Lombardia.
L'anno seguente si costituisce a Milano un'autonoma formazione
politica che, prendendo il nome di Partito operaio italiano,
respinge qualsiasi rapporto con la classe borghese e instaura
relazioni con la popolazione rurale della Bassa Padana, promotrice
dei primi scioperi agricoli.
Fra il 1887 e il 1893 sorgono le prime federazioni di mestiere e
le prime Camere del Lavoro, ma soltanto con l'opera indiscussa di
Filippo Turati si giunge, nel 1895, alla fondazione del Partito
Socialista Italiano.
Prima ancora di costituirsi come partito socialista italiano, tale
formazione, col nome di Partito dei lavoratori italiani, si
dà un nuovo statuto e un nuovo programma. Tale movimento
proletario è caratterizzato da due vincoli ben precisi: la
"lotta di mestieri" per la conquista di una migliore condizione
operaia e la contesa più ampia per il raggiungimento dei
poteri pubblici.