V - La Nazione nell'Italia unita
L'Italia e la sua vita sociale
Al momento dell'unità, l'Italia è abitata da circa
22 milioni di abitanti divisi tra loro dall'uso corrente dei
diversi dialetti e dalle rispettive consuetudini regionali.
La vita degli italiani si svolge nelle campagne e nei piccoli
centri rurali e trova la sua sussistenza principalmente
nell'agricoltura. Si tratta di un'agricoltura prettamente povera,
caratterizzata da una diversità degli assetti produttivi,
utilizzati nella parte settentrionale, centrale e meridionale del
paese: a fronte di uno sviluppo significativo delle aziende
agricole nell'area della pianura padana, l'Italia centrale vede
ancora una diffusione preponderante della mezzadria, mentre nel sud
del paese domina ancora la proprietà latifondista. .
Proprio nel mezzogiorno le condizioni di vita sono durissime: la
dieta prevalente tra le popolazioni rurali è costituita di
pane e pochi legumi. Tale realtà sociale, pur non essendo
ignota agli occhi dei dirigenti politici, è poco conosciuta
dagli abitanti dei centri urbani, per via di uno sterile sistema di
comunicazione che non riesce a mettere in contatto le diverse parti
della penisola.
L'eredità di Cavour: la Destra e la Sinistra
Alla scomparsa di Cavour, il 6 giugno 1861, i suoi successori
proseguono la politica avviata dal leader piemontese.
Il gruppo dirigente che governa l'Italia per il primo quindicennio
dopo l'unità è abbastanza omogeneo e si colloca a
destra. In realtà questo gruppo non è uno
schieramento di destra, ma di centro moderato, in quanto la vera
destra dei clericali e dei nostalgici dei vecchi regimi si è
autoesclusa dalla partecipazione alla vita politica dello
Stato.
A grandi linee, il loro programma prevede una politica rispettosa
delle libertà costituzionali, ma nello stesso tempo
accentratrice, liberista in campo economico e soprattutto laica in
materia di rapporti tra Stato e Chiesa.
La sinistra democratica, l'altro schieramento politico, si
compone di esponenti della vecchia sinistra piemontese, di
mazziniani e garibaldini.
Rispetto alla Destra, la Sinistra si appoggia su una base
più composita, comprendente anche gruppi di operai e
artigiani del Nord, e si oppone in maniera decisiva alla Destra
facendo proprie le rivendicazioni della democrazia risorgimentale:
il suffragio universale, il decentramento amministrativo e il
completamento dell'unità attraverso l'iniziativa
popolare.
Ambedue le coalizioni sono espressione di una classe popolare molto ristretta, a causa della limitatezza della cerchia elettorale, che deve ottemperare ad una richiesta minima di alfabetizzazione e ad una condizione di pagamento d'imposta annuale.
In politica interna, i leader della Destra applicano sul piano
amministrativo e su quello legislativo una forte politica
assolutista, volta a frenare il profondo malessere manifestato nel
Mezzogiorno.
Nelle province meridionali, il disagio delle masse popolari si
unisce ad una crescente ostilità verso il nuovo regime
politico, incapace di introdurre elementi di cambiamento, che porta
all'insorgere del brigantaggio. Il fenomeno raggiunge il suo apice
nell'estate del 1861, con l'aggravarsi della situazione nel
Mezzogiorno: si assiste così al formarsi di numerose bande
irregolari, dove briganti veri e propri si mescolano a contadini
insorti. Le bande assaltano i piccoli centri, massacrando i
notabili liberali e incendiando gli archivi comunali, per poi
ritirarsi sulle montagne e attaccare nuovamente altrove.
Le insurrezioni dei briganti vengono contrastate con un massiccio
impiego dell'esercito e di tribunali che condannano a morte tutti i
ribelli. L'intervento massiccio dello Stato porta in breve tempo
all'estinzione del cosiddetto "grande brigantaggio".
Purtroppo il governo si preoccupa minimamente di risolvere le cause socio-economiche, che hanno portato allo svilupparsi del brigantaggio: la divisione dei terreni demaniali e l'abolizione degli usi civici non bastono per migliorare la situazione dei piccoli proprietari e dei contadini, troppo poveri per poter concorrere nella corsa all'acquisto delle terre.
Il divario tra il Sud e il Nord diventa sempre più insanabile. Viene a delinearsi quella "questione meridionale" che sarà negli anni a venire oggetto di polemiche e di studi.
La politica economica dopo l'unificazione: tassa sul macinato
Sul piano economico, il governo regnante assume una linea
liberoscambista che, oltre a intensificare gli scambi commerciali
soprattutto nel settore agricolo, inserisce il nuovo Stato nel
contesto economico europeo.
Per favorire lo sviluppo economico, si incentivano la creazione di
infrastrutture, e in particolare si promuove lo sviluppo della rete
ferroviaria, che collega le principali città italiane,
comprese quelle del Mezzogiorno.
Dopo il 1866, le scelte politiche, tuttavia, non portano ad un
miglioramento del tenore di vita della popolazione, soggetta ad una
forte pressione fiscale, imposta sia dai costi per l'unificazione
italiana, sia dalle spese di guerra.
Particolarmente impopolare tra le file delle classi meno abbienti
è la tassa sul macinato, che già nota ai tempi del
dominio borbonico, viene reintrodotta nel 1868, su richiesta di
Quintino Sella, provocando in tutta Italia delle violente
agitazioni sociali.